Seguici su

Esplora contenuti correlati

Il presidente Bellucci: “Cos’altro deve accadere?”

20 Maggio 2023

Assistiamo in questi giorni alle drammatiche vicende dell’alluvione in Emilia e Romagna, con l’esondazione di decine di corsi d’acqua, con oltre una dozzina di morti, con danni incommensurabili al territorio, al paesaggio, all’agricoltura, all’uomo.

Il discorso sulla sua prevedibilità, sul cambiamento climatico come causa principale, sul consumo indiscriminato di suolo e sulla siccità come concause, non possono non prevedere tra le principali, quello sull’attacco indiscriminato, capzioso e strumentale alle istituzioni di prossimità e tutela delle aree interne e montane.

Il fatto che non se ne parli, se non per cenni, depone a sfavore di una soluzione vera e definitiva.

Campagne ad effetto condotte con approssimazione e superficialità sull’ente Provincia e soprattutto sulle Comunità Montane, hanno autorizzato la cattiva politica, quasi ovunque in Italia, anche se con positive eccezioni, a sottrarre ad esse risorse e prerogative, sino a rendere inefficace ogni ruolo possibile.

Eppure, è ormai letteratura consolidata che se non viene effettuata la manutenzione del territorio, fatta da semplici opere ricorrenti, come la cura degli argini e dei fondali, non tanto di fiumi più o meno grandi, ma dei ruscelli, dei torrenti, degli invasi naturali, dei fossi, secchi d’estate ma utilissimi d’inverno per il deflusso delle acque piovane, il disastro naturalistico è inevitabile.

Oggi piangiamo i morti dell’Emilia e Romagna, ieri quelli della Liguria, Piemonte, Campania, e tante altre aree interne e montane che erano affidate sia ai contadini che le abitavano che a quegli enti di bonifica e di prossimità, come le Comunità Montane, che avevano esperienza, attitudini, programmi, sedimentati in decenni di interventi; come del resto per la prevenzione incendi, altro vulnus al buon governo.

La cattiva politica (a proposito a quando una fattispecie di reato ad essa tipicizzata?) ha preferito quando è andata bene, dirottare le risorse sulle città, sulle periferie degradate, senza pensare che esse derivavano dallo spopolamento delle campagne e di quelle aree.

Quando è andata male, si è trattato di spreco in opere inutili, mai completate o elettoralistiche, senza indagare oltre.

Cosa c’è da fare oggi?

Prendere coscienza che se la montagna soffre l’incuria e l’abbandono, prima o poi a pagarne lo scotto sarà la pianura.

Prendere coscienza che i costi di un evento catastrofico di tale natura è sufficiente a manutenere, salvaguardare, tutelare per decenni quella porzione di territorio devastata.

Prendere coscienza che la disintermediazione istituzionale, l’eliminazione dei corpi ed enti  intermedi è una scorciatoia folle, che non serve né alla democrazia partecipativa, né al bilancio pubblico.

Prendere coscienza che le responsabilità dirette e principali sono del centralismo statuale ed anche delle Regioni, alle quali la Costituzione affida l’esercizio legislativo sull’art.5 e l’art.44 della Costituzione, cioè sull’autonomia degli EE LL e sulla tutela delle aree interne e montane.

Confidiamo che non si debbano più attendere tempi luttuosi e nefasti per riproporre ancora una volta delle verità semplici e comprensibili, eppure neglette e tradite.

Uncem Lazio non può fare altro, come avviene da decenni, che denunciare questa realtà ed appellarsi alle istituzioni regionali per una risposta, come quella già data dalla legge regionale sui terreni incolti ed abbandonati, che prima di essere operativa e normativa, è pragmatica, culturale e di buon governo.

Achille Bellucci

Presidente di Uncem Lazio

Condividi: